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UN COMUNE ALLA VOLTA: Cerenzia.


A settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, aspetta ancora di essere conosciuto particolarmente dai Calabresi l’intenso rapporto che legò il sommo Vate della letteratura italiana e la nostra Regione. Un rapporto nato dagli approfondimenti del Vate fiorentino delle opere e della spiritualità di Gioacchino da Fiore, fondatore dell’Ordine florense e fra i maggiori pensatori dell'Europa medievale che nacque e visse gran parte della propria vita sull’ Altopiano Silano. “Trait d’union” fra Gioacchino da Fiore e Dante Alighieri il “Liber figurarum” di Gioacchino da Fiore che Giuseppe Succurro, presidente del Centro internazionale di studi giaocchimiti definisce “la più importante opera di teologia figurativa dell’alto Medioevo” e “l’espressione più alta della simbologia giacchimita”. I codici del “Liber” furono ritrovati a Reggio Emilia alla vigilia della seconda guerra mondiale. “Ciò che non riusciamo a dire come si conviene con le parole – scriveva lo stesso Gioacchino – possiamo almeno introdurlo tramite le figure esposte”. La stessa opera è molto di più di una raccolta di immagini in cui il Frate calabrese spiegava il proprio pensiero ma molto di più. E’ un supplemento che, con precisione fotografica, racchiude come scrive Succurro “le strutture portanti e l’immaginazione caleidoscopica del pensiero del fondatore dell’Ordine florense”. Se dalla storia si passa alle leggende, estremamente affascinante appare il pensiero dello storico cosentino Coriolano Martirano che al rapporto fra la Calabria e Dante dedicò il proprio romanzo storico “Il Luogo delle Anime” edito da Pellegrini nel 2012. A detta di Martirano, addirittura, Dante Alighieri non solo avrebbe vissuto parte della propria vita a Cerenzia, affascinante borgo della Sila crotonese, ma vi avrebbe trovato l’ispirazione per la sua “Divina Commedia”. Acerenthia, Acherontia o Geruntia. Sul suo nome e sulle sue origini storia e leggenda si confondono, conferendole un particolare fascino di mistero. Fondata secondo alcuni dagli Enotri, secondo altri dal mitico Filottete, l’urbe era cinta da altissime mura naturali e dominava, così come domina tuttora, la vallata del fiume Lese, un tempo forse chiamato Acheronte, da cui ne deriverebbe l’etimologia. Quello che storicamente è certo è il rapporto fra Cerenzia e Gioacchino da Fiore, non solo per la presenza di Monaci florensi nel borgo della Sila crotonese ma particolarmente perché fu un gerundino il primo successore di Gioacchino a guida della sua Comunità monastica: Matteo, discepolo di Gioacchino gli succedette nel 1202 come abate dell’Abazia florense e la resse con fama di virtù per 32 anni. Nel 1234 assunse il vescovato di Cerenzia e per un certo numero di anni amministrò la diocesi piamente e con uno sforzo lodevole. Morì nella stessa ed il suo nome è annoverato fra quello dei Beati calabrese”. Queste le brevi ma significative righe che l’Ughelli dedicò al beato Matteo Vitari (o Venneri) che secondo la tradizione nacque a Cerenzia e vi passò la propria fanciullezza prima di entrare nell’Ordine cistercense dove conobbe Gioacchino da Fiore subendone ben presto il fascino e seguendolo nella Congregazione florense. Nonostante siano poche le informazioni che è possibile reperire su questa figura di frate, la sua importanza per Cerenzia, il suo circondario e per l’Ordine florense fu davvero ampia. “Negli anni compresi fra il 1202 ed il 1234, l’Ordine guidato da Matteo – scrive Valeria De Fraja stilando nel 2005 la voce “Florensi” nella versione online della Treccani (www.treccani.it) – si diffuse anche al di fuori della Calabria. Ai giorni nostri, Cerenzia offre ai propri visitatori due centri storici da visitare. Il vecchio borgo, a valle di quello oggi abitato, fu abbandonato fra il XVII ed il XVIII a causa della malaria dai suoi abitanti che collocarono il nuovo centro abitato in una posizione certamente più salubre. Altrettanto importante l'area rupestre che come ebbe modo di scrivere Francesco Cosco nel n`14 de "Il CalabrOne" edito nel 2012 dalla PubliGRAFIC, è situata in una valle ad Est del centro abitato attuale nei pressi della "Timpa delle Magare". A detta dello Storico "la vera sorpresa è all'interno dei vari antri o delle grotte come in loco sono nominati. Il primo antro già a prima vista è vera sorpresa. L'epoca di scavo è rigorosamente quella bizantina, la conformazione interna risponde alle caratteristiche dell'abitazione tipica troglodita di quel periodo: antro diviso all'interno da un muro che separa un vano soggiorno più ampio da un vano letto più stretto, posto a sinistra, altezza media due metri e mezzo circa. La seconda grotta - aggiunge Cosco - molto alta ed ampissima di oltre 120 metri quadri, con due ingressi, tipo "criptoportico" in cui da un grande antro iniziale che comunica con l'esterno, tre grotte si aprono all'interno a reggiera. Sulle prime è sembrata una chiesa rupestre a tre navate, ma a parte di due nicchie per icone, sovrastante da croste intrise di oli e pece, non vi sono altre caratteristiche distintive per definire l'antro luogo di culto". Mentre la vecchia Cerenzia contava 9 chiese, nella nuova ha un certo fascino quella dedicata a San Teodoro che Rita Catdamone, nello stesso numero de "Il CalabrOne" così descrive: "l'esterno è a pietra a vista con tetto a capanna a due spioventi e il corpo più piccolo absidato a destra. Le campane si innestano sulla navata portante da elementi in muratura. L'interno è ad aula con una cappella a destra in corrispondenza del corpo destro absidato. Vi è annesso un convento che comunica con la chiesa mediante una porta a sinistra". Il nome del Santo a cui è consacrata è certamente collegato al culto orientale che anche nei pressi di Cerenzia fu portato da eremiti calabro greci.

Francesco Rizza

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