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Petilia storica: i conventi di Santa Caterina e Sant'Antonio, il miniaturista Francesco De Serris.



Era il 20 agosto del 1881 quando il sindaco di Petilia Policastro Pietro Poerio, con un manifesto, rendeva pubblica una gara d'asta per l'appalto dei lavori di ammodernamento dell'ex convento di Santa Caterina che, dopo aver ospitato nella propria struttura l'antica Sinagoga posta nei pressi della Porta della Giudecca, sarebbe diventato il municipio cittadino. La progettazione dell'intervento strutturale fu realizzata dall'agronomo Giuseppe Domenico Rizza, trisavolo dello scrivente. L'antico convento, come ricorda Franco Filottete Rizza aveva ospitato a partire dal 1700 un convento di Suore Domenicane che gestivano un ospizio per i Pellegrini poveri ed un educandato femminile dedicato a San Gaetano, diretto da suor Caterina Scandale. "La stessa - ricorda Filottete Rizza in un proprio articolo in Il Cammino periodico diocesano nunero 1, 1985 - apparteneva ad una antica e possidente famiglia, proveniente da Cajazzo, che diede alla Chiesa numerosi religiosi e religiose".




Alla fine del 1800 il Monastero, nonostante si fosse arricchito di varie rendite, cominciò a decadere tanto da venire soppresso. L'ultima suora ad abitativi fu Maria Giuliana Bilotti da Zagarise, morta nel 1888, dopo essere andata via da Petilia. Aggregata al convento, la chiesa parrocchiale di San Pietro che era stata costruita sull'antica sinagoga. Ad indurci a pensare che il nuovo luogo sacro abbia preso perfettamente il posto del precedente, il fatto che questa chiesa aveva forma ottogonale ed arricchita da archi e da diverse colonne. Era stata ricostrurata, dopo il terremoto del 1638, dal nobile Marco Antonio Poerio ed il campanile, a base quadrata, terminava a forma piramidale. Gli Ebrei erano partiti dal Regno di Napoli da circa un secolo. Padre Mannarino racconta che la chiesa aveva raggiunto il proprio splendore essendo abate don Domenico Coco che, rimasto vedovo, si era fatto sacerdote. Il Coco, attesta Mannarino, "con idee amabili, proprio di uno sposo, che ama con genio e fervore la sua nuova diletta, per amodernarla impegna tutto il suo avere". Fu, infatti, proprio in quegli anni che fu costruita a destra dell'altare maggiore dedicato a Santa Caterina dalle fondamenta la cappella della Madonna del Carmelo, mentre a sinistra della chiesa fu ristrutturata la cappella dedicata a San Pietro. Don Coco, inoltre, acquistò un nuovo organo e finanziò la ristrutturazione del coro e della sacrestia. Al momento della soppressione della parrocchia, aggregata a quella di San Nicola Pontefice, la sua popolazione era formata da 300 battezzati di cui 58 con meno di 18 anni ed aveva una rendita di 100 ducati annui. Mentre i dipinti della Madonna del Carmelo e di San Pietro furono portati insieme alla statua di San Gaetano e forse la statua dell'Immacolata alla chiesa di San Nicola Pontefice, l'organo fu portato nella chiesa di San Francesco da Paola.


Un altro convento policastrese andato perduto nel tempo fu quello di Sant'Antonio che fu costruito nel 1600 ed affidato ai Francescani Conventuali. Nel periodo di maggiore splendore, lo stesso convento era dotato di una ricca biblioteca ed ospitava fino a 25 frati. La Madonna era venerata in una cappella fatta costruire da Tommaso Tronca, sotto il titolo del Soccorso. Collegata a questo dipinto la storia della chiesa. Si narra che il nobile Giuseppe Battista Rose, nativo di Catanzaro, era inseguito da Soldati spagnoli ed aveva trovato rifugio presso una edicola votiva che, coperta da rovi, conteneva il dipinto in cui la Madonna era raffigurata nell'atto di soccorrere con un bastone in mano un fanciullo insidiato da una serpe. A causa, della fatica e della paura, al nobile si ruppe una vena ma, secondo la tradizione, venne salvato dalla Madonna, cui promise la costruzione di una chiesa. Anche se appartenente all'Ordine dei Minori Osservanti e non a quello dei Conventuali, secondo una tradizione, il convento sarebbe vissuto nel convento di Sant'Antonio sant'Umile da Bisignano, cui è dedicato un dipinto del 1883 realizzato da padre Filippo Lupia da Sersale. La Comunità monastica prosperò fino alla fine nel 1800 ed i primi del 1900. I Frati andarono via quando l'Amministrazione comunale decise di costruire vicino al convento, allora fuori dalla cittadina, il cimitero policastrese.




In questo convento, visse un miniaturista policastrese che nel 1500 dovette essere alquanto conosciuto anche se, purtroppo, oltre ad alcune sue opere conservate nella "Biblioteca Civica" di Cosenza non sembra conservarsi nulla : Francesco De Serris. Quello fra il 1500 ed il 1700 fu, per l'intera Calabria, un periodo davvero intenso dal punto di vista culturale ed artistico; pure nel Marchesato crotonese. "Anche Policastro - osserva Alberto Fico, nella propria monografia sulla storia policastrese - nel 1500 fino al 1700 partecipa a questo processo culturale arricchendosi di opere di personaggi locali e di artisti operanti anche fuori Regione. Giungevano a Policastro opere del Gagini, di miniuteristi, di argentieri delle scuole argentarie, per finire poi con opere della scuola di Mattia Preti, della scuola del Giordano, gli altari delle botteghe napoletane dei Tricoli, gli affreschi del Santanna". Si inserisce in questo scenario la figura di Francesco De Serris. Se alcuni studiosi collegano al De Serris altre opere, Michele Gallucci ritiene che gliene possano essere attribuite con certezza solo tre. La prima è datata 1534 e si tratta di un esemplare in pergamena rilegato il legno con un dorso in cuoio. "Il volume - evidenzia Fico - allo stesso modo degli altri due, è di dimensioni notevoli e misura cm 62 X 43 X 6. È un corale formato da191 fogli e la lettera minata del primo foglio è stata asportata, ad essa, però, segue al verso del foglio '2' una lettera 'C' minata in oro e inserita in un disegno a quadri bleu. Altre lettere minate si trovano al verso del foglio '64', al recto del fogio '80' e al verso del foglio '188'. Al foglio '191' è scritto: Opus fieri fecit R. P. Jacinto Montone de Cusentia Minister Provincialis de Calabria vigore sui Ministeri per me fratem Franciscum De Serris de Policastro. Anno Comuni MCCCCCXXXIIII". La seconda opera del De Serris conservata a Cosenza è un Antifoniario temporale. Scritto in caratteri gotici con rilegatura in pelle e tavole, è formato da 144 fogli raccolti con rilegatura in legno e cuoio, è formato da 144 fogli raccolti in 19 fascicoli, con lettere minate in oro, decorazioni floreali ed immagini minate. La firma è a pagina 144 dove si legge: "Explicit lib. m. antiphonarum hunc opus scdipsit atque completavit g. Franciscus de Serris de Policastro ord.is minor reg. lis obt Anno Domini 1542. Die 27 Septembembris. Finis". Rilevanti i colori rosso ed azzurro utilizzati. Si tratta di colori che come osserva Alberto Fico "prodotti da sostanze naturali non presenti in Europa. Tali sostanze naturali dovevano essere importate dall'Oriente risultando, quindi, molto preziose perché rare e costose". Il terzo manoscritto è un Temporale santorale e riporta le salmodie comprese dall'8 dicembre al 25 marzo, oltre alla festività dell'Immacolata e quella di San Pietro d'Antiochia. Anche i suoi caratteri sono gotici. La firma è a pagina 243 dove si legge: "Explicit Liber antiphonarum huius qui scrpsit atque plevit frater Francisci de Serris de Policastro ordini minorum regolarium regolarium observatia. Anno Domini 1542 die septembris".

Francesco Rizza

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