Pagine del Novecento crotonese: la Resistenza.

La Guerra di liberazione nel Meridione italiano e nel Marchesato Crotonese.
Più decenni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza, non sono bastati al Meridione italiano per impossessarsi di un'intensa. pagina della propria storia ed approfondire il proprio contributo alla liberazione dell'Italia dal Nazi Fascismo. Lo evidenziava, già qualche lustro fa', lo storico Mario Avigliano secondo cui “di tutto quanto avvenne nel 1943 sotto la linea di Montecasino, si ricordano soltanto le quattro eroiche giornate di Napoli della fine di settembre. Eppure nel breve periodo dell’occupazione tedesca, in Campania, in Puglia, in Lucania e nell’Abbruzzo si verificarono numerosi episodi spontanei di resistenza militare e civile ai Tedeschi”. Se effettivamente il Sud italiano non ospitò l'impegno di Partigiani nel proprio territorio, non furono pochi i soldati figli dell'Italia meridionale che, dopo il 9 settembre del 1943, preferirono schierarsi per la democrazia e, quindi, contro la prosecuzione del Regime fascista. Gli ultimi anni, per fortuna, anche nel Crotonese, hanno registrato l'attenzione di vari studiosi verso la Resistenza nell'Italia meridionale e verso i Partigiani nati nel Crotonese. La sezione provinciale dell'Anpi registra una certa vivacità, non solo con alcune iniziative che vengono organizzate per far riflettere sui valori della pace, dell'Antifascismo e della democrazia, ma anche con un certosino lavoro di ricerca coordinata da Giusy Acri, docente di storia e filosofia, sui Partigiani oriundi del Crotonese. Sulle orme del partigiano Dante Castellucci conosciuto come Facio di Sant’Agata dell’Esaro, invece, è stato impegnato più anni il Liceo scientifico Raffaele Lombardi Satriani di Petilia Policastro con una sorta di gemellaggio fra il Crotonese e le Cinque Terre liguri che ospitarono l'impegno di Facio. A coordinare il progetto didattico Giovanni Ierardi, docente di storia e filosofia da qualche anno in pensione e ricercatore appassionato di storia locale. In Calabria, gli ultimi tempi della Guerra civile passata alla storia col nome di Resistenza registrarono fatti di cronaca importanti, ma oggi poco noti. Come ha scritto Francesco Fatica relativamente a quel Fascismo che non voleva abbandonare il potere accumulato nel Ventennio "l'organizzazione clandestina in Calabria merita una particolare menzione, sia per il numero degli imputati nel processo che si tenne a Catanzaro nell'aprile 1945, che per l'importanza delle strutture finalizzate al sabotaggio ed alla guerriglia che vennero scoperte dagli inquirenti. Dalle indagini dei Carabinieri Reali vennero portati in luce quattro Centri operativi clandestini: a Catanzaro, a Nicastro - Sambiase, a Crotone ed a Cosenza. Ma, come si può ben capire, fu adottata ogni tipo di precauzione per sminuire agli occhi degli inquirenti la vastità e l'efficienza dell'organizzazione che operava clandestinamente anche in molte altre zone".
A Nicastro alla fine del 1943, i Carabinieri avevano registrato una serie di manifestazioni ed un'attività clandestina fascista che andò man mano intensificandosi fino ad arrivare ad attentati dinamitardi contro strutture del Partito Comunista e abitazioni di personalità di alcuni Antifascisti. Intanto - scrive Fatica - per una fortuita coincidenza, quasi contemporaneamente veniva segnalato nei pressi di Crotone un trasporto clandestino di bombe a mano che portò, dopo varie vicissitudini, al rinvenimento di un notevole deposito di armi da guerra in un casolare di proprietà del marchese Gaetano Morelli, maggiore dell'esercito in congedo. Morelli aveva sacrificato beni personali per finanziare l'organizzazione di una squadra che era ormai pronta a prendere la via della Sila per operare con sufficiente armamento, vettovaglie ed attrezzature". Tutto questo non fu rivelato nel processo, ma l'entità del materiale bellico ritrovato era un indizio abbastanza eloquente. Le vettovaglie invece furono del tutto trascurate. Il tenente Pietro Capocasale era stato, prima dell'arresto, un attivo coordinatore dell'organizzazione clandestina. Aveva tessuto una fitta rete di collegamenti per conto del principe Valerio Pignatelli con i gruppi citati e con molti altri rimasti clandestini, disseminati in tutta la Calabria. "Gli Alleati - aggiunge lo Storico - secondo un clichet ormai abitudinario, lasciarono il processo agli Italiani di Badoglio. Il Tribunale Militare Territoriale della Calabria, con sede a Catanzaro, fu investito della responsabilità di istruirlo. Ma gli ufficiali del Regio Esercito non dimostrarono affatto entusiasmo e tanto meno zelo per l'incarico ricevuto, anzi adoperarono ogni possibile solerzia per limitarne la portata". Quando la sentenza arrivò, "i Giudici si decisero a leggere questa sentenza: 10 anni di reclusione per Pietro Capocasale, 9 anni per Gaetano Morelli, 8 anni per Luigi Filosa e per Attilio e Giuseppe Scola, 8 anni per Antonio Colosimo, Nino Gimigliano e Aldo Paparo nonchè Ugo Notaro, 6 anni per chi fu ritenuto partecipante più attivo, mentre 4 anni per i semplici partecipanti. Infine ai minorenni 24 mesi di reclusione. Altri imputati per cui non era stato possibile raggiungere la prova di colpevolezza, vennero assolti".ra le notizie sul contributo dato dal Crotonese alla Resistenza osserva Giuseppe Marino che "una delle prime pagine della Resistenza italiana fu scritta a Salerno nelle ore immediatamente successive allo sbarco alleato dell’8 settembre 1943 in Sicilia. Protagonisti di una serie di episodi che diedero inizio al riscatto dell’onore e della dignità degli Italiani calpestati dal Fascismo e dai suoi alleati germanici furono un gruppo di Carabinieri e di Partigiani che tennero scacco alla soldataglia nazista e la cacciarono dalla città. Tra i militari figura un caccurese, Umberto Iaconis, all’epoca Capitano comandante di una caserma della provincia Campana che in seguito raggiungerà il grado di tenente colonnello. La mattina del 10 settembre 1943 una quindicina di soldati tedeschi a bordo di un’autoblinda e armati di pistole mitragliatrici fanno irruzione nel cortile della caserma intimando ai Carabinieri di consegnare le armi e di arrendersi. L'Ufficiale caccurese, non solo rifiuta di farsi disarmare assieme ai suoi Carabinieri tra i quali l’eroico maresciallo lucano Donato Telesca, ma li caccia dalla caserma dichiarandosi pronto a combattere. Poche ore dopo i Tedeschi, ormai allo sbando, tentano di saccheggiare il Banco di Napoli nei pressi del Teatro Verdi a poche centinaia di metri dal porto per impossessarsi del denaro custodito nella filiale, ma ancora una volta il capitano Iaconis e il maresciallo Telesca, coadiuvati da alcuni Partigiani li attaccano ingaggiando una vera e propria battaglia che si conclude con l’ignominiosa fuga dei baldanzosi soldati germanici. Per questi meriti il Capitano caccurese venne “equiparato, ai sensi del Decreto legislativo numero 93 del 6 settembre 1946, ai combattenti volontari della libertà quale comandante di una formazione partigiana dal 9/9/1943 al 26/9/1943 in Salerno”. Il Tenente colonnello Iaconis era nato a Caccuri il 3 settembre 1896 da Giuseppe e da Costanza Secreto. Parte delle imprese dell'ufficiale caccurese si possono leggere in un interessante libro di Ubaldo Baldi sulla Resistenza salernitana". Fra i Partigiani del Crotonese, era nato a Crotone il 21 agosto 1921 Giulio Nicoletta che, dopo aver testimoniato a lungo i valori per i quali aveva. combattuto ottenendo una medaglia d'argento per il valore militare, morì a Giaveno, in provincia di Torino dove si era trasferito il 23 giugno 2009. Al momento dell'armistizio, mentre era ancora studente, si trovava nel Vercellese, come sottotenente di Fanteria del 1° Reggimento carristi. Era subito entrato nella Resistenza, costituendo una banda partigiana nella zona di Bruino, nel Torinese. Come si apprende dal portale online dell'Anpi, fu ferito in combattimento contro i Nazifascisti a Trana in provincia di Torino nel gennaio del 1944. Nicoletta, con i suoi uomini, era entrato a far parte della 43ma Divisione autonoma Sergio De Vitis di cui, durante i lunghi mesi della lotta contro Nazistifascisti, era diventato il comandante. Molto apprezzato per il suo coraggio e le sue doti di ponderatezza, Nicoletta, nell'aprile del 1944, aveva condotto con i tedeschi le trattative per la liberazione di alcuni ostaggi che erano nelle loro mani a Cumiana. Violando gli accordi, i Nazisti massacrarono 51 Cumianesi, nel cui ricordo, là dove sorgeva la cascina Riva d'Acaia è stata eretta una grande Croce con l'epigrafe: "In questo luogo 51 Cumianesi, cittadini esemplari e rimpianti, vittime innocenti e pure, la ferocia nazista trucidava. 3.4.1944". Nicoletta, con i suoi compagni , nei giorni dell'insurrezione fu tra i primi ad entrare a Torino, per difendere la città e impedire che vi entrassero le truppe del generale Schlemmer.

Era nato, invece, a Petilia Policastro nel 1921, come racconta Francesco Ierardi, Eugenio Ierardi che venne chiamato alle armi, essendo di leva, e fu assegnato al 208 Regimento Fanteria – 1° Battaglione II Compagnia, Reggio Calabria. Fu inviato a Jeris, sul fronte francese, il 3 maggio 1943. Non sentendo in coscienza di combattere per una causa giusta, quando l’Italia ebbe firmato l’Armistizio con le potenze alleate, appena un giorno dopo, il 9 settembre 1943, presentò domanda per passare nel corpo dei Carabinieri che fu subito accolta. Dopo pochissimi giorni fu disarmato dai Tedeschi e messo in campo di concentramento, perché si erano conosciute le sue idee contrarie a quella guerra e al Fascismo. Il 24 novembre 1943 fu caricato su un convoglio ferroviario per essere deportato nel campo di lavoro 1/16 a Dortmund, in Germania assieme ad alcune centinaia di altri militari e civili francesi e italiani. Quando il convoglio giunse ai confini della Svizzera, Eugenio Ierardi, assieme ad altri pochi compagni, eludendo la vigilanza dei soldati tedeschi, riuscì a fuggire e a far perdere le proprie tracce. Raggiunsero il Cuneese dove, avevano saputo, si stavano già formando le prime squadre partigiane. Riuscì a prendere i primi contatti con i capi della Resistenza, i quali gli affidarono l’incarico di farsi assumere, come operaio, in uno stabilimento di Alessandria, per fare propaganda antifascista e proseliti alla causa della libertà. La sua attività fu scoperta e denunziata da spie fasciste, alle quali era riuscito a sfuggire per quasi un anno. Ancora una volta riuscì a fuggire. Il 21 agosto 1944 si fece dare una bicicletta dalla famiglia Rocca, che aiutava e ospitava i Partigiani, e presso cui lo stesso Eugenio Ierardi aveva abitato, prima di essere scoperto, a Santalbano Stura in provincia di Cuneo raggiunse le montagne di Prea Roccaforte e si unì alla V Divisone Alpi – Brigata Val Corsagli. Catturato l’11 dicembre 1944, in servizio di pattuglia di retroguardia, durante il ripiegamento della Brigata Val Ellero, fu condotto a Prea. La mattina seguente, il 12 dicembre 1944, i Tedeschi portarono in Lase gli altri otto partigiani catturati, prelevarono dal carcere Eugenio, li. spinsero tutti insieme verso il cimitero, li misero con le spalle al muro di cinta del cimitero e li fucilarono. Fu il fratello Gennaro Domenico, alla fine della guerra, a raggiungere il Piemonte, fra mille difficoltà, dopo aver attraversato l’Italia ancora in rovine per portare a casa i resti mortali di Eugenio. Il 30 ottobre 1945 Eugenio fu riesumato: i miseri resti furono riconosciti dal fratello Gennaro Domenico che ebbe tanta forza da adempiere, senza piangere, a questo triste dovere di morte; le ossa e i brandelli di divisa che il partigiano indossava al momento della morte furono sistemati dall’amore fraterno in una bara che avrebbe raggiunto Petilia solo il 26 gennaio 1946. Un altro partigiano di Petilia Policastro fu Giuseppe Pace.

Così è ricordato da Francesco Ierardi. Primo di quattro fratelli, il partigiano petilino Giuseppe Pace partì per il fronte nel 1943 a soli 19 anni e, dopo lo sbandamento dell’8 settembre di quell’anno, fu assegnato alla caserma dei carabinieri di Serra San Quirico. Qui si aggregò al Gruppo di partigiani comandato da Mario Depangher, che aveva la sua base ad est di Valdiola, nel comune di San Severino Marche, in provincia di Macerata. Subito dopo l’8 settembre, nella zona di San Severino, attesta il portale www.storiamarche900.it , si costituì la Banda Mario, dal nome del suo comandante Mario Depangher, di origini istriane, imprigionato durante il fascismo per la sua attività antifascista, fuoriuscita e infine confinato come internato proprio a San Severino. La banda era costituita prevalentemente da persone provenienti dalla zona, ma anche da numerosi Slavi e alcuni Abissini, Russi, Francesi e Inglesi. Per far fronte alle esigenze organizzative e di sicurezza, il gruppo, che andava sempre più ingrandendosi, si trasferì a Valdiola: un agglomerato di poche case in un’ampia conca contornata dai monti al di là dei quali si estende la vallata dell’Esino e Matelica, vicino alle altre località in cui si stavano costituendo le altre bande partigiane: il Monte San Vicino, la Porcarella, Cingoli, Apiro. Il gruppo di Partigiani di cui Pace faceva parte partecipò con onore alla battaglia di Cagnano fra il 23 ed il 24 marzo del 1944, Pace fu catturato ed ucciso presso il ponte di Chignano venendo seppellito nel cimitero della stessa cittadina, dove ha dimorato fino al 6 novembre 2008, giorno in cui le sue spoglie mortali sono ritornate nel cimitero del comune di Petilia Policastro, nel corso di una partecipata e storica giornata nel corso della quale, però, pare che alla banda musicale di Pagliarelle allora diretta dalla maestra Fiorella Curcio fu chiesto di suonare Bella Ciao.
Francesco Rizza