La storia che non passa. La crisi del Polo chimico e la rivolta di Crotone.

Quello che ricordiamo è un anniversario duro per Crotone, perché collegato a quelle scorie velenose contro cui lo Stato che, da anni, non riesce a fare nulla. Veleni nascosti finanche il castello 'Carlo V', che fra l'altro ospita il Museo civico e la Biblioteca comunale, dove qualcuno ha tombato le scorie radioattive di quel Polo chimico che, per lunghi anni, fece di Crotone una vera e propria isola di benessere economico nella Calabria del tempo. Evidentemente, a guardarla con 'la scienza del poi' che rimane la disciplina più inutile ma semplice da assimilare, anche la vocazione industriale di Crotone fu l'ennesimo fallimento economico, in un territorio che per un lungo periodo storico non aveva conosciuto la disoccupazione, ma una sorta di assistenialismo che, serviva e serve ancora oggi al potere, per tenere calme le fasce più deboli della popolazione. Capita così che quando nel 1993 lo Stato iniziò da Crotone la chiusura delle proprie fabbriche, la Città pitagorica meritò l'attenzione dei giornali nazionali che nel mese di settembre diedero il risalto meritato a quella rivolta popolare che durò per più giorni, proprio per la chiusura delle fabbriche. "Il 6 settembre 1993 - ricorda Giuseppe Laratta - non è un giorno qualsiasi per la comunità crotonese: quella notte viene ricordata come la “notte dei fuochi”. Gli operai della Enichem, in segno di protesta per il licenziamento subìto, diedero fuoco al fosforo di quella fabbrica sulla strada statale 106, all'ingresso nord della Città. Una città annientata dalla perdita del lavoro, che si riversò in strada, manifestando tutta la rabbia: studenti, lavoratori, lavoratrici, associazioni, persino l'allora vescovo monsignor Giuseppe Agostino si schierò a difesa della città. 'La Milano del Sud', come veniva soprannominata Crotone, vedeva probabilmente l'inizio di una serie di problematiche che l'hanno trascinata tutt'oggi in una situazione dalla quale ancora non riesce ad alzarsi". La protesta per quello che stava avvenendo a Crotone fu corale. L'occupazione delle fabbriche crotonesi fu l'ultima manifestazione in cui le forze progressiste di sinistra furono capaci, insieme al popolo, di far sentire con forza la propria voce. Quella della crisi del chimico che a Crotone ebbe, forse, il maggiore epilogo era, in vero, una problematica nazionale che veniva da lontano. "È una storia di un gigante malato - scriveva Alessandro Galliani sulle colonne de 'L' Unità' - quello della chimica italiana. Enichem è un gigante malato. 49 mila addetti, distribuiti in modo dissennato tra 1200 aziende. Un 'Core business' impermeato sul petrolchimico, con poca ricerca, poca chimica fine, pochissima farmaceutica e, quindi, con pochi utili e scarsa innovazione. È tutta la storia della chimica italiana a gridare vendetta. Negli anni Settanta, con la naziolizzazione dell'Enel, Montrdison incassa una barca di quattrini e col meplan, inaugura la storia della chimica. BI-invest e Fondiaria, strappate a forza di scalate sottobanco alla famiglia Bonomi. Schimbiani ormai è lanciato, sfida Cuccia e l'estabilshment del salotto buono, ma in realtà indebita l'Enimont per renderla meno appetibile agli scalatori". Per più giorni la tensione rimase altissima con auto bruciate e la 106 bloccata e col capannone che ospitava gli uffici della Montendison incrndiata. In un servizio su 'L'Unità' si riportano le "dure accuse alla Polizia che secondo i lavoratori avrebbero lanciato candellotti lacrimogeni ad altezza d'uomo. Il questore di Catanzaro, Carnevale, si è difeso spiegando che la polizia sarebbe per far strada ai Vigili del Fuoco". "Quello che si è mosso da Crotone - scriveva l'allora sindaco Carmine Tallarico - è un fatto nuovo, lontano dalle strumentalizzazioni e da ogni forma di violenza teppista. Qui, in questa parte del Mezzogiorno, è partito un importante messaggio di riscatto per il lavoro e per la democrazia. Qui si sono intrecciate le grandi questioni nazionali del Governo in rapporto alle scelte scellerate dell'Eni che da Crotone ha fatto partire un pesante piano di realizzazione del settore chimico". Per quei giorni storici di Crotone, una delle immagini che riaffiora è quella di mons. Giuseppe Agostino, primo arcivescovo delle diocesi unite di Santa Severina, Crotone e Cariati. Ad un certo punto arrivò anche lui nei cantieri a portata la solidarietà agli operai e fu, per questo, criticato da alcuni ambienti reazionari e conservatori. A tal punto da intervenire per spingere la propria posizione a distanza di pochi giorni, su 'Il Crotonese'. "Non bisogna gabbare i lavoratori. I Lavoratori - scriveva il Presule reggino figlio di un ferroviere - sono capaci anche di fare sacrifici, ma dentro la chiarezza. Mi auguro che ci sia una via di dialogo con presa di coscienza sociale e democratica, qui nella nostra Città, ed anche una crescita culturale. La mia presenza in mezzo agli operai - aggiungeva l'Arcivescovo - è stato un gesto non politico come si vuole vedere da parte di molti, ma un gesto di pastorale che significa la presenza della Chiesa in una situazione umana di sofferenza. Bisogna intendersi che vuol dire libertà: la libertà non vuol dire autonomia, quindi non riferimento alla solidarietà, perché può capitare che in un'impostazione economica di mercato, il profitto diventi in fine primo ed esclusivo di ogni scelta e quindi l'uomo è secondario come è avvenuto qui".
Francesco Rizza