La Metropolia di Santa Severina, le sue suffraganee ed i "Diaconi selvaggi".

Quella di Santa Severina fu un'arcidiocesi fra le più importanti della Calabria, come è attestato anche dal fatto che per un lungo periodo di tempo gestì alcune diocesi suffraganee in un territorio poco più ampio dell'attuale provincia. Sarebbe sorta, come dicevamo, fra l'ottavo ed il nono secolo ed il suo primo vescovo sarebbe un tal Giovanni, citato in una epigrafe che ancora oggi si può osservare nel Battistero, che avrebbe retto l'arcidiocesi sino ai primi anni del decimo secolo. A distanza di una sessantina di anni, un altro vescovo santaseverinese fu Stefano citato nella biografia di San Nilo da Rossano. Mentre il territorio della diocesi santaseverinese comprenseva gli attuali comuni di Cutro, Mesoraca, Roccabernarda, Petilia Policastro, Rocca di Neto, Scandale e Cotronei, come dicevamo, controllava sei diocesi suffraganee. Nella sua 'Italia Sacra', in cui inserì numerose informazioni anche sulla Calabria pure se secondo i canoni storiografici del suo tempo, Ferdinando Ughelli cita come prima suffraganea di Santa Severina Belcastro, collegandola al rito greco. La sua cattedrale è dedicata a San Michele Arcangelo e lo Storico cistercense come di "struttura antica ed ornata di un certo numero di Reliquie". Il suo territorio diocesano non era molto più grande della cittadina nella quale non c'era un'altra chiesa parrocchiale. Nel territorio diocesano c'erano, sempre ai tempi dell'Ughelli, tre conventi di frati mendicanti. Alcuni storici collegano alla famiglia dei conti di Belcastro Aquino il noto San Tommaso. Altra diocesi dipendente da Santa Severina era quella di Cerenzia unita a quella di Cariati. "L'episcopato genundino scrive l'Ughelli - fu eretto nel 960 come si attesta in un'epigrafe della cattedrale ed è citata in alcuni documenti relativi a Gioacchino da Fiore, il cui discepolo Bernardo fu vescovo a Cerenzia. La cattedrale è dedicata a San Teodoro martire che si festeggia il 7 novembre. Per quanto riguarda, invece la diocesi isolitana, la cattedrale era situata, al tempo dell'Ughelli, fuori dal centro cittadino e sarebbe sorta al tempo di papa Gregorio XIII ed affidata al vescovo Annibale Caracciolo. La catedrale era amministrata al tempo dell'Ughelli da dieci canonici divisi in quattro dignità: arcidiacono, decano, cantore e tesoriere. Il primo vescovo citato nella cronotassi è, nel 1178, Modio. Per Strongoli, la cattedrale è dedicata ai santi Pietro e Paolo ed al tempo dell'Ughelli era amministrata da quindici sacerdoti con cinque dignità: arcidiacono, diacono, arciprete, cantore e tesoriere. Per quanto riguarda, infine, la diocesi di Umbriatico, il suo primo vescovo è citato al tempo di papa Sisto III e dell'imperatore Veleriano. Come ai tempi dell'Ughelli la cattedrale è posta in cima alla rupe e caratterizzata da un'imponente torre campanaria. In questo territorio come nel resto della Calabria, retaggio probabilmente almeno per qualche aspetto pdel Rito greco, fu la figura ecclesiastica dei diaconi selvaggi. All'inizio del 1600, relativamente alla Metropolia di Santa Severina, cosi definisce questa figura l'Arcivescovo Alfonso Pisani: "ci sono in Calabria uomini quali vivendo con le proprie mogli senza ricevere ordine ecclesiastico si sottomettono all'obbedienza dei Prelati, et al servizio delle chiese, et questi sono servitori o servirti delle chiese et volgarmente chiamano 'jaconi selvaggi'. Ufficio loro è pulir la chiesa, sonare le campane, muovere li manici dell'organo, controllare le carceri, eseguire le pene, et esser ministri della giustizia ecclesiastica ed haver cura del l'osservanza per le feste, non solo per le Terre, ma per le campagne e far altri simili servizi". Ovviamente, oltre al resto, in cambio dei loro servizi, erano esentati dalle tasse e per questo meritavano il fasdidio dei gestori dell'ordine laico. Già alla fine del 1500, il vescovo di Isola Annibale Caracciolo si lamentava del fatto che "il barone dell'isola per mezzo dei suoi ofriciali, non cessa di molestare li suoi garzoni et garzoni, carcersnroli e citaneoli". Per quanto riguarda Belcastro, Carlo Sgombrino vescovo fra il 1652 ed il 1672 attesta che "ci sono in città oltre alla cattedrale ed alla chiesa di San Giovanni Gerolomitano dodici altre chiese, ad ognuna delle quali è assegnato per custodia un chierico selvatico. Tali chierici selvaggi per antichi usi ed immemorabile consuetudine sono immuni ed esenti da ogni giurisdizione laicale, reale e personale". Addirittura, a Santa Severina i diaconi selvaggi mantenevano il diritto di avere più mogli, come attesta l'Arcivescovo Carlo Berlingeri alla fine del XVII secolo. Non essendo, però, la bignamia accettata né nella chiesa latina che in quella greca o nei costumi dei luoghi, si deve pensare che questi diaconi selvaggi facevano parte di una vera e propria milizia e, quindi, potevano far parte della popolazione mussulmana presente in diocesi. A Petilia Policastro, una disputa vera e propria relativamente ai diaconi selvaggi si registrò fra il Comune e la Curia nel 1686 quando giunsero nella cittadina alcuni commissari reggi col compito di redigere un catasto fiscale. Fu allora che un gruppo di eletti del Parlamento cittadino ed il Sindaco cercarono in tutti i modi di abolire le immunità dei diaconi selvaggi, ma il Vescovo intervenne a loro difesa minacciando il sindaco e gli eletti che, se non avessero rinunciato ai loro propositi sarebbero incorsi nelle pene dei sacri canoni. "Per ottenere la conferma dei privilegi - attesta Alberto Fico nel proprio saggio sulla storia policastrese - il vescovo incarica il sacerdote Antonio Rosa, parroco della chiesa di Santa Maria la Magna, di ricercare un sufficiente numero di testimoni che giurassero, sotto pena di scomunica, l'esistenza da lungo tempo di tali diritti ecclesiastici".
Francesco Rizza