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Fede e culti. Percorsi quaresimali nel Marchesato crotonese.




JÈ una storia antichissima quella che lega la Calabria all'Ordine minorico fondato da san Francesco D'Assisi. La Provincia minorica calabrese nacque nel 1.217; quattro anni prima dell'approvazione della "Regola non bollata" da parte di papa Innocenzo III. Alle sue origini, la Provincia minorica calabrese, comprendente anche la Sicilia, fu affidata al beato Pietro Catin al cui nome sono legati i "luoghi" di Castrovillari, Scalea, Cosenza, Bisignano e San Marco Argentano. A distanza di pochi lustri, la presenza francescana in Calabria si era dilatata sino a raggiungere Crotone, Catanzaro, Vibo Valentia, Gerace e Reggio Calabria tanto che, agli albori del XIV secolo, si contava all'interno della Provincia francescana di Calabria quattro "Custodie": quella di Reggio Calabria, quella di Crotone, quella di Castrovillari e quella di Cosenza. Era l’1.227 quando il nascente Ordine minorico calabrese fu fertilizzato dal sangue dei suoi primi sette martiri. Stiamo parlando di San Daniele da Belvedere e dei suoi compagni che si recarono in Marocco a predicare il Vangelo e che, nell'ottobre dello stesso anno, furono martirizzati a Cheuta. In seguito, il 22 gennaio 1.516 gli stessi martiri calabresi furono dichiarati Santi da papa Leone X. Nella "Custodia" crotonese i conventi francescani di Petilia Policastro, Mesoraca e Cutro, fra il XVI ed il XVII secolo, furono caratterizzati da una particolare reverenza verso la passione di Gesù Cristo tanto che per la devozione di questi tre santuari gli antropologi sono soliti parlare di un "triangolo del sangue". Fra il 1.500 ed il 1.600, infatti, i tre luoghi francescani nati con altre denominazioni furono dedicati alla Sacra Spina quello di Petilia (già Santa Maria dei Frati), all'Ecce Homo quello di Mesoraca (già Santa Maria delle Grazie) e al SS. Crocefisso (già San Salvatore) quello di Cutro. A Petilia Policastro, dove il primo Santo patrono cittadino è San Sebastiano martire, il convento francescano cambiò denominazione a partire dal 1.523 quando alla comunità dei Frati fu donata da mons. Dionisio Sacco, arcivescovo di Reims e confessore della corte di Francia, una Sacra Spina della corona di Cristo ottenuta dalla regina Giovanna De Valois. Momento topico annuale del culto petilino alla Sacra Spina è la commemorazione del Calvario che avviene ogni anno, ogni secondo venerdì di marzo. Per la scelta di tale data, occorre ricordare che nel 1.573 mons. Antonio Giulio Santoro, riconoscendo in un sinodo diocesano la santità della Reliquia, sceglieva proprio tale giorno per i suoi festeggiamenti. A distanza di circa un secolo, era un secondo venerdì anche l’8 marzo 1832, quando un tremendo terremoto fece numerose vittime nel Crotonese, 29 delle quali a Petilia. A congiungere i santuari di Mesoraca e Cutro, invece, due pregevoli sculture lignee opere del beato fr. Umile da Petralia (Pa). Nato da Giovan Tommaso Pitorno e Antonia Buongiorno nelle Madonie siciliane, Giovanni Francesco Pitorno ancora giovinetto fu inviato dalla famiglia a Palermo dove perfezionò la propria arte prima di decidere di entrare nell'Ordine francescano. Successivamente, come scrisse Guglielmo Nitti nel "Siberene" del marzo aprile 1920, "dedicò tutto il tempo della sua santissima vita a scolpire sul legno immagini di Gesù che si venerano tuttora in Sicilia, a Malta, in Calabria, in Puglia ed altrove. Passò a miglior vita nel convento di Sant' Antonio in Palermo nella mattinata del 9 febbraio 1639 ed operò miracoli". Descrivendo le opere d'arte dello stesso Fraticello, lo stesso Nitti osserva che "è sempre lo stesso colorito, l'istessa espressione solenne da martire che patisce con rassegnazione (...). Non mancano neppure i soliti contrassegni delle statue di Gesù scolpite da frate Umile: una spina pungentissima che, partendo dalla corona, fora il ciglio dell'occhio destro e giunge fin sopra la pupilla e le lividure e i rigonfiamenti delle mani, causati dalle strette legature delle funi". Non sappiamo l'anno preciso della scultura mesorachese, ma alla stessa sono collegati numerosi miracoli. Per la storia del santuario mesorachese, lo stesso, dopo essere stato fondato da Monaci basiliani prima dell'anno 1.000, passò ai Francescani nel XVI secolo quando il 14 ottobre 1.419 papa Martino V assegnò ai figli spirituali di San Francesco l'antico cenobio scrivendo una bolla inviata ad Angelo, arcivescovo di Santa Severina. Per la scultura mesorachese dell’Ecce Homo, caratterizzata a detta di Anna Russano Cotrone dalla “forte drammaticità caratterizza quest’immagine con i polsi legati davanti e sanguinose ferite" e dalla "Anatomia esile e testa leggermente più grande rispetto al corpo”, la festa settennale si svolge nel mese di agosto quando sono numerosi gli emigrati che fanno ritorno a Mesoraca per prendere parte a questo momento di fede. Altri due momenti di devozione verso la sacra scultura avvengono nel mese di marzo, l’8 ed il 21 in ricordo dei terremoti del 1.744 e del 1.832. Se dai contrafforti della Sila si scende verso il medio Jonio, è a Cutro che il "triangolo del sangue" si chiude. Il Crocefisso cutrese, a detta degli storici, fu scolpito dal beato Umile verso il 1.626 venendo dichiarato "monumento nazionale" nel 1940. Il cenobio cutrese, a detta dello storico francescano fr. Primaldo Coco, fu costruito sui resti di un antico monastero probabilmente basiliano; essendo superiore della custodia minorica di Cosenza il cutrese fr. Giacomo da Cutro. Ancora nel 1.772, il 13 ottobre, mons. Domenico Morelli nativo cutrese ma vescovo di Strongoli consacrava solennemente la chiesa conventuale e l’altare maggiore sotto il titolo del SS. Salvatore e tale decisione potrebbe dimostrare che già dopo poco più di un secolo dalla scultura del Crocefisso, il suo culto era talmente cresciuto da insidiare il titolo della chiesa. In quell’occasione, mons. Morelli: “Nello stesso altare – si attesta in un’epigrafe del chiosco – in un contenitore di piombo pose le reliquie dei santi martiri Crescente, Bonifacio e Felice”, concedendo un’indulgenza di 40 giorni a chi visita la chiesa nell’anniversario della consacrazione da commemorare nella prima domenica di settembre. Tornando alla pregevole scultura del Crocefisso, è, principalmente, il volto ad affascinare i fedeli per le sue fattezze. A seconda dall’angolazione dalla quale viene ammirato, infatti, sembra che ne cambino le espressioni dello sguardo, dal sorriso alla sofferenza della morte. “Quannu m’ha vidutu – avrebbe chiesto lo stesso Cristo nel corso di un suo momento di estasi – ka tantu piatusu m’ha faciutu?”. Come si narra in uno scritto di Antonio Piterà, primicerio della Collegiata, la prima festa settennale avvenne nel 1861. Nel 1860, infatti, il Crocefisso era stato portato in processione dalla popolazione che chiedeva il miracolo della pioggia dopo una lunga siccità. Nel primo dei due giorni di festa, il Crocifisso viene calato dalla teca posta sull'altare maggiore mediante una complicata operazione alla quale assistono numerosi fedeli. Il giorno successivo il Crocefisso viene portato in processione nella cittadina incontrando, nei pressi della chiesa di san Rocco, le statue della Vergine, di San Giuseppe e San Giuliano che si aggiungono alla processione. Secondo la devozione popolare è come se con questa processione, anche i Santi sentono la necessità di seguire il Crocefisso nella consapevolezza che, senza la morte e la resurrezione di Cristo, come scrisse san Paolo apostolo "vana sarebbe la nostra fede".

Francesco Rizza

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